Il tentativo di porre in essere un illecito deontologico è disciplinarmente sanzionabile, a prescindere dall’esito della relativa condotta.
In particolare, la Corte di cassazione, muovendo dalla considerazione che il principio di stretta tipicità dell’illecito, propria del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, ha affermato che anche il tentativo di compiere un atto professionalmente scorretto costituisce condotta lesiva dell’immagine dell’avvocato e assume rilievo ai fini disciplinari (Cass. S.U. 16/12/2013, n. 27996).
Il principio risulta, altresì, costantemente ribadito anche dalla giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense, secondo cui in ambito disciplinare non è necessaria la consumazione dell’illecito, essendo, infatti, sufficiente anche il tentativo, giacchè la potenzialità della condotta è idonea e sufficiente a configurare l’illecito deontologicamente rilevante (sentenze n. 180 del 25/10/2021, n. 44 del 25/3/2023).
Il tipico campo di applicazione di tale regola è costituito dalla violazione del divieto di accaparramento di clientela di cui all’art. 37 del Codice deontologico forense, in quanto deve ritenersi che la norma non postuli che l’accaparramento della clientela sia effettivamente e concretamente avvenuto, essendo sufficiente per la sua configurabilità l’utilizzo di modi non conformi a correttezza e decoro.
Segnaliamo, sul punto, una recente sentenza del CNF relativa ad un post comparso sulla pagina Facebook di un studio legale che, nell’immediatezza di un gravissimo incidente ferroviario nel quale avevano perso la vita tre persone ed altre quarantasei erano rimaste ferite, offriva “assistenza altamente qualificata” alle vittime della sciagura, con “pagamento di spese e compensi legali solo a risarcimento ottenuto” e “valutazione preventiva del caso senza oneri”.
https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2023-177.pdf
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