C

CONDANNA IN SEDE PENALE AGLI EFFETTI CIVILI E GIUDICATO IN SEDE DISCIPLINARE

COMMENTO A CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, N. 106/24

Massima

In tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio disciplinare, la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in ambito penale ha efficacia di giudicato nel disciplinare quanto all’accertamento del fatto, alla sua eventuale illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Nel caso di proscioglimento in sede penale occorre invece distinguere: qualora l’assoluzione sia stata pronunciata perché il fatto non sussiste, l’esclusione dell’ontologia del fatto ne impedisce la valutazione anche disciplinare, mentre se essa è intervenuta perché il fatto non costituisce reato, riconoscendone l’ontologia ed escludendo la sola rilevanza penale, l’organo disciplinare può e deve valutarlo sotto il profilo deontologico, giacché gli stessi fatti irrilevanti in sede penale ben possono, invece, essere idonei a ledere i princìpi della deontologia professionale e dar luogo, pertanto, a responsabilità disciplinare.

Il caso e la decisione

Un Avvocato era accusato di “violazione degli artt. 4, 9 e 63 del codice deontologico forense e dell’art. 38 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 per avere aggredito e colpito il Signor X, producendo allo stesso una lesione personale al volto”

Il Consiglio Distrettuale di Disciplina, all’esito del procedimento disciplinare, aveva applicato la sanzione dell’avvertimento.

Insorgeva l’incolpato deducendo tra l’altro l’insussistenza del comportamento che gli veniva addebitato.

Osservava infatti che nel processo penale che si era sviluppato a suo carico in seguito ai fatti in questione, in primo grado egli era stato assolto, essendo stata riconosciuta la legittima difesa ai sensi dell’art. 54 c.p.

Solo la parte civile aveva proposto appello e pertanto, secondo il principio di formazione progressiva del giudicato, la res iudicata penale era di assoluzione. Il giudice del gravame, accogliendo le doglianze del danneggiato, aveva riformato la sentenza solo ai fini civilistici. La Suprema Corte aveva poi rigettato il ricorso dell’imputato avverso la sentenza emessa all’esito del giudizio di secondo grado.

In tale contesto, asseriva l’incolpato, il C.N.F. avrebbe dovuto considerare il giudicato penale di assoluzione e non la sua riforma.

Il C.N.F. rigettava il ricorso in quanto “il giudicato penale, anche se ai soli effetti civili, risulta di condanna, e perciò l’accertamento del fatto, della sua illiceità (sebbene ai soli effetti civili) e la circostanza che l’imputato lo ha commesso rivestivano efficacia di giudicato per il C.D.D. di Messina”.

Poneva in evidenza, poi, che in ogni caso il giudice disciplinare è libero di valutare la concordanza delle prove assunte nel procedimento e quelle documentali, formate in altri processi ma ritualmente acquisite.

Concludeva che il decoro professionale e la cultura del ricorrente gli imponevano di sottrarsi alla lite con la parte civile, nata per una banale questione legata alla circolazione stradale che poi era culminata con l’azione lesiva dell’incolpato.

Confermava in definitiva la decisione gravata.

Breve commento.

La decisione, per quanto condivisibile nell’esito, presta il fianco ad alcuni rilievi critici.

Gli artt. 651 e s. c.p.p., che disciplinano la valenza extra penale del giudicato, si riferiscono infatti solo alla pronuncia irrevocabile resa agli effetti penali e, secondo opinione pacifica in dottrina e giurisprudenza, vanno interpretati in senso restrittivo.

Nel caso di specie, quindi, la pronuncia a cui fare riferimento per gli eventuali effetti extra penali era quella di assoluzione emessa in primo grado. Occorreva quindi invocare l’art. 653, co. 1 c.p.p., a norma del quale “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto […] non costituisce illecito penale”.

Il giudicato di condanna, valido ai soli fini civilistici, era invece regolato nei suoi effetti dall’art. 2909 c.c., ai sensi del quale, come noto, la pronuncia fa stato solo “tra le parti, i loro eredi o aventi causa” e non poteva pertanto vincolare in alcun modo gli organo disciplinari nella loro decisione.

https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2024-106.pdf

Stampa
Torna in alto
Camera di Deontologia Forense di Udine
Panoramica privacy

Questo sito Web utilizza i cookie per consentirci di offrire la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito web e aiutando il nostro team a capire quali sezioni del sito web trovi più interessanti e utili.